I video e le installazioni di Botto&Bruno
narrano di esistenze nascoste tra le nebbie e le paludi delle
periferie urbane.
Fin dall'inizio Botto e Bruno hanno sempre avuto un rapporto
di amore-odio con questi spazi.Più che a Marc Augé che ha fatto del non-luogo
un specie di marchio di fabbrica , preferiscono le analisi di Mike Davis poiché vede
le zone suburbane come luoghi fortemente connotati dove i contrasti si fanno
più accesi.
I loro primi lavori datati 92-93 sono costituiti da
piccoli libri fanzine autoprodotte dove immagini di luoghi
abbandonati in bianco e nero scorrevano accanto a testi
presi dai giornali.
Del 95-96 sono i primi progetti di ambienti alle cui pareti venivano incollate
direttamente gigantografie in laserprint di fabbriche dismesse e di strade
sterrate. Sempre in quel periodo realizzano interventi esterni su cartelloni
pubblicitari o elettorali convinti della necessità di comunicare a un
pubblico che non sia solo quello delle gallerie d'arte.
Da ricordare l'intervento fatto nel ‘97 sulla facciata del Bullet Space, una
spazio alternativo di New York.
Un anno dopo vincono il primo premio'Torino incontra l'arte' con “Soft City”una
scultura da installare nell'atrio del comune di Torino.
Nel 1999 per la mostra fwd Italia:passaggi invisibili realizzano Suburb's Island
un grande wallpaper che si insinua come un virus in una stanza del Palazzo
delle Papesse ; nel 2000 realizzano un grande lavoro stampato su pvc all'esterno
della Fondazione Teseco per l'Arte di Pisa. Sempre nello stesso anno progettano
due grandi wall paper per il Centro d'arte Contemporanea di Quimper con le
architetture della Bretagna e al Palazzo delle Esposizioni a Roma con la personale
dal titolo “Under my red sky”, oltre alle pareti , il loro intervento si estende
anche al pavimento. Nel 2001 sono presenti alla Biennale di Venezia con un
progetto realizzato per l'ingresso delle Corderie intitolato “House where nobody
lives”.
duetart gallery
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