Pensiero e mani sporche di colore
L’oscillazione tra il pensiero dell’artista e l’opera che nasce dalle sue mani, tra una rappresentazione astratta (destinata a sé solo) ed una concreta (destinata al pubblico), tra il “venire al mondo” (divenire reale già nella mente dell’artista) e la capacità degli oggetti rappresentati di realizzarsi in figura (divenire quadro) costituisce la ricerca fondamentale della pittura di Franz Wanner.
Un camminare sulla cresta di una montagna che si inasprisce nell’irrisolvibile unità della raffigurazione e del soggetto. La perfetta compenetrazione dell’arte e dell’oggetto rappresentato.
Rinnovando lo spirito del dualismo aristotelico di potenza e atto, Sol LeWitt, che spesso si è limitato a progettare ciò che altri avrebbero realizzato, ha stabilito con la sua concezione dell’opera d’arte una distinzione tra pensiero ed esecuzione, mettendo a nudo -più o meno volontariamente- il punto nodale dell’arte moderna: essa più volte non è in grado di distinguere in modo soddisfacente la parte teorica da quella pratica e in questo modo rischia di perdere la propria aura. L’arte rinuncia così ad uno dei suoi aspetti più importanti, la distinzione tra concezione e realizzazione, poiché è soltanto in tale spazio limitato e privilegiato che si realizza l’opera d’arte.
Se Da Vinci scrisse: “Pensare un’opera d’arte è un atto divino, eseguirla è servile”, egli stesso però non ha rinunciato alla componente più “umile” dell’arte, poiché la pittura ha costituito per lui la sintesi assoluta di spirito e realtà.
Chi rinuncia al lavoro “servile” perchè vuole assumere su di sé solo la parte “nobile”, o chi evita il pericolo del mostrarsi per preservare pura l’aura del pensiero, probabilmente rinuncia all’arte in sé.
La domanda era ed è da sempre, al di là di ogni modernità: Che cos’è la pittura? Che cosa è in grado di costituire un quadro?
“La verità è il significato dei fatti”, dice Tommaso d’Aquino e con il termine realtà Wanner intende la completa esistenza dei quadri: non gli basta averli concepiti ‘in pectore’, maturando a lungo il pensiero del loro ‘essere nati in lui’ come “potenza” di arte. A lui occorre l’ “atto”, gli occorrono le mani sporche di colore e il lavoro di preparazione dei pigmenti, che svolge personalmente. A lui occorre la fisicità dell’opera d’arte, a prescindere dall’esistenza di uno spettatore che completerà il ciclo del meccanismo concettuale che l’artista ha creato e messo in gioco.
In un quadro tutto ruota intorno alla vista poiché, se non viene osservato, il quadro si trascina in un’esistenza senza luce. Ma allo stesso modo, da ogni opera d’arte si irradia uno sguardo verso l’osservatore: ciò che come sapienza è nascosto nel quadro, in questo sguardo torna a rivolgersi verso il mondo.
La domanda sulla natura del quadro riguarda la natura stessa, poiché la ricerca è rivolta verso ciò che è immane e potente sebbene l’uomo, cambiato da tutte le sue scoperte, si sia da essa già congedato. La Natura è senza limite, cascata che taglia la terra (Wanner cita la cerniera di Newman) e mostra rabbia e furore. Vitalità che esisteva in natura ma rinasce trasformata in altra vita – e con altro medium – attraverso il pensiero, più che la mano dell’artista. Ma senza la mano il pensiero non vince, resta nel silenzio che lo destina alla morte. Attraverso la mano, la cascata – altro è eterna.
È dunque dalla fusione del lavoro spirituale con quello manuale che si realizza l’opera d’arte, che risulta figurativa (in quanto mostra montagne, campagne o rovine archeologiche) ma allo stesso tempo concettuale, in quanto rimanda ad altro: nel caso di Wanner, il pensiero di un ribaltato Titanismo, in cui è la Natura a dominare l’uomo, col suo essere infinitamente più grande, con la sua capacità di durare e resistere: la Natura è la casa che ci ospita, noi non siamo che inquilini e abbiamo il dovere di capire che è la Natura stessa a dipingere, attraverso le nostre mani.
La natura è il più grande quadro esistente e noi possiamo avvicinarci ad essa solo con l’immaginazione.
Ecco il senso degli autoritratti a cui l’artista sta lavorando negli ultimi mesi, delle visioni degli atelier dei pittori e, in senso più lato, naturalmente anche dei loro ambiti di azione (come il mondo della montagna visto come atelier di Segantini o i campi disseminati di rovine del passato come quello di Piranesi), che operano come riflesso rispecchiato.
A questo stato di fatto della pittura fa riferimento il progetto “Il pittore e il suo doppio”: attraverso la pittura, dopo un lungo esercizio di sperimentazione di materiali, operando su un fondo opaco - che ricorda più che altro la crudezza del muro di un muratore - Wanner richiama alla mente i grandi del passato come testimoni della forza ammaliante dell’arte.
La sua pittura diviene la griglia operativa in cui si intersecano le tracce di questo mondo.
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