Nato
nel 1947 in un paese siciliano, ma presto trasferitosi
a Torino (dove vive tuttora), Salvo inizia a dipingere
già dai primi anni '60 (nel 1963 partecipa
con un disegno all’Esposizione della Società
Promotrice delle Belle Arti).
Nel
1970, presenta per la prima volta i suoi lavori, nella
galleria di Sperone: fotomontaggi, in cui sostituisce
il suo volto a immagini tratte dai quotidiani, e quaderni,
su cui sono trascritti, con grafia infantile, testi
della storia della letteratura, in cui sostituisce il
suo nome a quello dei protagonisti.
Parallelamente
comincia la serie delle lapidi di marmo ('70-'72
circa) su cui incide parole o frasi (“Idiota”,
“Io sono il migliore”, “Salvo è
vivo”...), parti di testi antichi, il proprio
nome (che comparirà anche in neon e tricolori),
o liste di artisti e personaggi illustri del passato,
alla cui fine inserisce il suo, a guisa di firma.
L’ironica
e provocatoria mitizzazione di sé, si inserisce,
dunque, nella riflessione sul significato di opera d’arte,
di linguaggio, di percezione visiva e, soprattutto,
sul rapporto ineluttabile che l’arte ha col suo
passato.
Ma
dal 1973 Salvo “ritorna” alla pittura tradizionale,
fatta d
i tela e pennelli. Con i suoi d’aprĖs da
Maestri del Quattrocento (Cosme Tura, Botticelli, Raffaello...),
in cui si ritrae nei panni di San Giorgio, San Michele,
San Martino prosegue la dilatazione del sé nello
spazio e nel tempo dei precedenti lavori. Ma il recupero
di opere entrate a far parte dell’immaginario
collettivo non avviene tramite un puro lavoro di copiatura.
E’ cambiato il modo di rappresentazione: tutto
è semplificato, stilizzato, i colori sono estremamente
moderni, sono vividi, televisivi, allucinogeni; i gesti
sono enfatizzati, i personaggi stereotipati.
Il
sapiente utilizzo del nuovo medium, così aborrito
nelle gallerie di quegli anni, aprirà la strada
a un ritorno della pittura che avverrà diffusamente
soltanto negli anni '80.
Nel
1975 inizia la serie delle Italie e delle Sicilie, sorta
di compromesso tra la pittura e l’arte concettuale,
in cui sono dipinti i nomi di artisti e letterati del
passato, nuovamente accostati al suo, tessiture di un
ricamo colorato, nel cui sfondo compaiono le forme astratte
e simboliche della regione o stato che gli artisti rappresentano.
Negli
anni successivi i suoi temi sono quelli della mitologia
e dell’archeologia: le rovine, segni di passate
civiltà assimilati al paesaggio, sono uno dei
soggetti preferiti.
Da
allora, pressoché fino ad oggi, la sua è
in gran parte una pittura di “luoghi”: oltre
alle già citate rovine, gli “Interni con
funzioni straordinari” (le navate delle chiese
ispirate dal pittore del XVII secolo Saenredam, tra gli altri),
i mishram (le tombe turche), i villaggi di montagna
con le chiese, le stazioni, le città, le marine,
le valli.
Una
pittura, quindi, dedicata soprattutto al rapporto della
natura (nature morte, fiori, frutta, alberi, montagne)
con la cultura (le archeologie e architettura che la
segnano).
Natura-cultura,
spazio-tempo. E come i maestri del passato, accetta
proprio la sfida di rappresentare il tempo che passa,
soprattutto attraverso la luce, che è la “trasposizione
visibile” del tempo. Dipinge albe e tramonti che
impregnano le tele di inedite sfumature di colore, di
incanto luministico; e quella luce, rende i suoi “luoghi”,
che pur sono i luoghi dei suoi numerosi viaggi, dei
non-luoghi, dei sogni dipinti: Salvo non dipinge dal
vero. Il ricordo “depura” la realtà.
Solo
chi ha osservato a lungo può ricordare e,quindi,
rappresentare la realtà nella sua scarna essenzialità
adescrittiva e anarrativa.
Dalla
curiosità per tutto quel che ci circonda, dall’amore
per la bellezza e, soprattutto, da una profonda passione
per la pittura nasce l’arte erudita di Salvo che,
per questo, può affascinare gli esperti d’arte,
quanto i profani. Ed è una cosa poco comune,
oggi - come ieri.
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