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Foto di Valentina Colonna-Preti

Nome:
Evaristo Petrocchi

“…La sostanza non esiste, la trasformazione reale accelera i meccanismi mentali ed abitua a percepire le forme, i suoni, i rumori in modo effimero e sfuggente… E’ la percezione del già vecchio nel momento in cui nasce, la pulsione di un girovagare nell’animo in un giardino virtuale dove nulla appartiene all’essere perché predomina una visione tecnica e tecnologica dell’ordine delle cose, perché i bisogni o le funzioni corrispondono ad una urgenza che fa sparire i contorni, il margine, la cultura del vuoto e della sostanza che non appare a prima vista…”
Artista del tempo perduto che attraverso la sua visione liricamente diviene un temps rétrouvé, Petrocchi nella pittura è filosofo e poeta.
Le opere in mostra presentano immagini fotografiche sfuocate o invecchiate, pezzi di carta da imballaggi o materiali di uso industriale contornati da brandelli di stoffe lacere, usate, rese improvvisamente preziose dall’oro assoluto o da disegni ermetici di ignoto ma incontestabile valore. Immagini quasi illeggibili in un mare di lavande umbre profumate. O ancora frammenti di fotografie d’epoca, di per sé insignificanti ma collocati in materiali inesorabilmente poveri che vengono impreziositi da una manualità passionale e toccante e dai gesti compiuti con l’abilità e la sacralità di un restauratore di rari quadri antichi.        
Sono i lavori più recenti di un artista che dagli anni Ottanta persevera in una ricerca tesa a far ricordare ciò che abbiamo dimenticato, ciò che erroneamente è stato scartato dal nostro immaginario perché la vita reale l’ha consumato troppo in fretta o l’ha relegato in uno strato sotterraneo ricoperto da incuria e comunque privo di importanza.
“…La realtà è bruciata, il senso è altrove ma il consumo è immediato. Oggi è già ieri. L’anima del mondo è altrove.
Ribaltare questa situazione è una scelta obbligata: nel denso, nel rimosso, in ciò che è stato dimenticato e va conservato. Il futuro è il passato ignoto. Il passato che non si conosce, che non si è visto e percepito perché si è tirato innanzi, perché si è fatto un salto triplo, galleggiando leggermente sulla materia. Ma quando si tocca terra, la scivolata tradisce l’impresa di non lasciare tracce e svela i sintomi di realtà più profonde, da guardare solo, senza analizzare, poiché non si può modificare ciò che è casuale, ciò che viene rimosso solo nello sforzo di tentare un passo più lungo della propria dimensione. E’ la prova provata dell’impotenza a superare l’essere...”.
Opere preziose, spesso per scelta precisa e orgogliosa mai rese pubbliche, trattengono il tempo perduto e ritrovato di Petrocchi, che gioca a costruire pezzo dopo pezzo una sorta di simbolico tesoro metafisico di cui è certa l’esistenza, ma la cui funzione assume una valenza esclusivamente psicologica e mentale, di sostegno al lavoro artistico futuro.
Chi un giorno le troverà potrà sapere cosa hanno significato la storia e il tempo di un uomo che ha cercato di trattenere la Storia e il Tempo delle vite perdute e ritrovate, in un dialogo estetico e morale che sintetizza un’intera esistenza e tutte quelle precedenti. Questo è il senso dei cinquanta libri d’arte creati uno per uno, dove le pagine trattengono una paziente cucitura di filo che si intreccia alle parole in greco o in francese o alle formule matematiche che si incrociano con le fotografie tratte da un’istallazione con oggetti (che vennero esposti a Legnano nel 1981 nella mostra “L’oggetto manifesto”, curata da Luciano Inga Pin) che appartengono ai giorni dell’infanzia dell’artista, resi asettici -e per questo immutabili ed eterni- da imprevedibili ingessature. La fonte di tali riflessioni è la favola di Esopo “Il lupo e la vecchia”, che crea una dimensione spaziale e mentale capace di andare al di là della semplice immagine e della pura manualità.
Alla base di tale recupero della memoria e dei luoghi che l’hanno ospitata vi è, sempre, l’esigenza di muoversi contro la tendenza che sceglie di dare consistenza reale ad ogni concetto astratto, di contrapporre, quindi, per dirla filosoficamente, la presenza ipostatica (nel caso dell’artista l’oggettualità fisica) di vestiti, mobili e soprammobili alla ricerca mentale più delicata e poetica che è insita - più che nelle tele e nelle istallazioni che per natura richiedono spazi e pubblico - nei racconti dei libri d’arte e nell’uso del filo per ricamare e colorare quegli oggetti. L’artista si indirizza, così, verso racconti fantastici che evocano pitture mentali e luoghi di un altrove più che altro sognato e compone una raccolta di sei libri poetici che narrano con disegni, collage e le più varie tecniche (uso dell’oro, di stoffe preziose e di vernici industriali) storie del pensiero irripetibili ed uniche, collocate liberamente in tempi passati e luoghi lontani.
Il senso profondo, sotterraneo del gesto, della materia, di ciò che solo si intravede, il margine, la sponda dei pensieri, il filo che congiunge la mente ai passi del percorso mentale che si fa più acceso e va alla scoperta di ciò che è vecchio, apparentemente invecchiandolo. Ma invecchiare significa vedere il futuro, conservare nel futuro.
La materia povera dell’artista può diventare ricca nel sotterraneo del pensiero che racchiude, della densità di idee che affiorano quando si scava all’interno di una superficie sapendo che ciò che già esiste non è in gran parte conosciuto, ed è un patrimonio grandissimo sul quale si può lavorare per anni ed anni. Ma quando invecchio un luogo, uno spazio, una città o qualsiasi oggetto o animale come per esempio un semplice gatto, lo proietto nel futuro e lo sottraggo al suo naturale e banale destino della sua inevitabile morte fisica.  
Ed ecco, allora, che le opere più recenti esposte alla duetart gallery, realizzate “invecchiando” uno spazio o un oggetto, rendendolo prezioso e unico, raggiungono lo scopo salvifico di strappare brandelli di esistenza al loro inevitabile destino di morte: ancora una volta l’arte dà voce alla vita, sottraendo all’implacabile lavoro delle Parche tutto quello che appartiene all’uomo.
 

Evaristo Petrocchi vive e lavora ad Assisi. Ha esposto dagli anni Ottanta in Italia in varie mostre personali e collettive. Collabora nell’associazione “Italia Nostra” per la tutela del patrimonio naturale e culturale italiano.



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