La personale dedicata dalla duetart all’artista brasiliana Debora Hirsch offre una selezione di opere distanti fra loro per tecnica e codici linguistici di riferimento: foto, fotomontaggio, video, pittura a olio, echi di fumetto, pop art, rinascimento. Eppure in questo fiorito vivaio di allusioni e richiami emerge con chiarezza un contenuto forte che sottende al mezzo espressivo di volta in volta proposto. Debora Hirsch stupisce per il coraggio di osare temi universali e generali come il linguaggio, la comunicazione, il tempo. Non è da tutti, non oggi.
Debora Hirsch rivendica la continuità fra il suo passato da ingegnere gestionale e dirigente di una società di comunicazione e il suo presente di artista. E certamente la comunicazione (presente o nella sua drammatica assenza) dev’essere stata un tema all’ordine del giorno nella sua formazione spirituale ed estetica. Ecco allora che comunicazione e linguaggio si fanno minimi comuni denominatori di un percorso che attraversa secoli di distanze estetiche e formali e piani cronologici e stilistici si intrecciano nel tessere un unico tema declinato e scandagliato sotto diverse angolazioni e con diversi mezzi espressivi. Le opere proposte fanno parte del ciclo fotografico BR101/BR101 Outdoors, del ciclo pittorico So What a cui si aggiunge il video Last supper.
BR 101- BR 101 Outdoors. Ovvero afasie on the road
Nelle foto (più di 4000) della serie BR 101- BR 101 Outdoors Debora Hirsch riflette su un luogo, la strada, dedito per eccellenza all’incontro, fosse anche solo l’incrocio, che resta invece luogo dell’indifferenza, fatto di stridenti contraddizioni sociali. BR 101 è la lunga arteria autostradale che collega nord e sud del Brasile, correndo per circa 4500 km lungo il mare.
La strada, luogo preposto ad unire si fa in questo caso veicolo di separazione, via di comunicazione che crea sacche di doloroso silenzio e incomunicabilità fra le caste. La strada, storicamente portatrice di sviluppo, in Brasile accompagna da un sud ricco verso un nord di gironi infernali di sottosviluppo e miseria sociale.
Attraverso un abile montaggio di decine di immagini, le foto proposte restituiscono il dato reale amplificato permettendoci la visione di quello che un singolo scatto non potrebbe da solo offrire.
L’immagine, lontana dal dare l’impressione del set o del fotomontaggio, permette così all’occhio di andare oltre l’istantanea e palesa anche quello che non si coglierebbe nel flash di un momento. Così ecco prendere forma l’indifferenza di fronte ad un senza tetto, bambini muoversi in Piazza Pelorinho a Bahia o interni borghesi animati da “elementi esterni”.
Se il soggetto di BR 101 sono interni di case aristocratiche in cui improvvisamente prendono vita “epifanie stradali” (bambini, gelatai, bagnini, cruscotti di auto e immagini di strada), con BR 101 Outdoors l’occhio di Debora Hirsch si sofferma ad indagare l’aspetto di elementi esterni ed architettonici.
Così questa ricostruzione su piani temporali sfasati aggiunge valore all’immagine, la riempie di contenuti tenuti nascosti dal tempo e dallo spazio, permettendoci una visione “più vera del vero”.
LAST SUPPER - Ultima cena. Ovvero essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato
Sempre il Brasile è protagonista di questo video che mostra i volti di 12 giovani “criminali”, “delinquenti suburbani”, ribattezzati con il nome dei dodici apostoli. Un’unica differenza: se gli Apostoli scelti da Gesù erano persone, anche emarginati, che si trovarono nel momento giusto al posto giusto, i “dodici apostoli” del video hanno incontrato un destino differente, vittime loro malgrado di un contesto di marginalità sociale ed esclusione, caduti per reati di microcriminalità, apostoli contemporanei di credenze e falsi miti del Brasile contemporaneo.
Il video richiama alla memoria il più famoso degli omicidi, quello di Gesù e rappresenta una sintesi di tutte le ultime cene che si consumano quotidianamente nel silenzio e nell’indifferenza dei più.
La risoluzione che Debora Hirsch sceglie, 16x16, è quella minima necessaria alla polizia per il riconoscimento di un volto e lascia tuttavia l’immagine sfuocata e distorta dai pochi pixel, così da rendere l’idea della pura esemplarità di questi volti, dodici fra i tanti che avrebbero potuto sedersi a questa Ultima Cena moderna. I pixel non definiti e sfuocati denunciano così la difficoltà di identificazione, ossia di creazione di una propria identità, per questi giovani apostoli la cui unica colpa è stata quella di crescere in una realtà suburbana marginale e abbandonata, da tutti anche da Gesù.
Un monolite, alto e stretto come i palazzi di San Paolo, accompagna il video e riporta, in caratteri neogotici, le frasi tipiche dei graffiti delle periferie brasiliane: Deu Azar, hai avuto sfortuna, o ancora Nao deu, non è riuscito…
SO WHAT. Ovvero il trionfo della comunicazione
So What…Sembra un intercalare per riprendere un discorso interrotto poco prima, il titolo di questo ciclo di grandi dittici che accostano personaggi e miti lontani nel tempo e nel contesto che ne ha caratterizzato l’esistenza. Cosicché, e allora…sembrano parlare fra loro Valentina con il suo gatto e la dama leonardesca con l’ermellino, Innocenzo X con Silver Surfer, Dante e John Lennon.
Così So what è il trionfo della comunicazione, una rete di parole e discorsi che può scavalcare i secoli e tuttavia parere perfettamente armonica e non soffrire di distanze e incomunicabilità generate dal tempo. Sembra ovvio vedere vicini (ma chi lo avrebbe mai potuto immaginare?) Vincent Van Gogh e Corto Maltese e sembrano parlare come vecchi amici il cui scambio e frequentazione non si è mai interrotto. Come potevamo pensare di tenerli lontani, ora che qui paiono raccontarsi di cieli e di stelle da sempre? Nulla stride nemmeno nel vedere vis à vis il Duca di Montefeltro e Dick Tracy, uno dei ritratti più noti e sacri del Rinascimento italiano con un eroe del fumetto contemporaneo, accomunati da quell’espressione un po’ così… E ancora, ora, a vederle palesate sulla tela, è difficile immaginare di allontanare il dripping di Pollock o l’onda di Hokusai dalle grafiche di Jack Kirby.
Elementi colti e pop, tecniche e linguaggi antichi e recenti si incontrano in questi dittici dove tutto si risolve in sublime armonia, superando distanze di secoli. Confronti indicibili che Debora Hirsch sa palesare su teli giganti lasciando la sensazione dell’ovvietà e della necessità di quell’incontro. Se non loro chi?
Debora Hirsch dimostra, come fosse un teorema, come la nostra memoria estetica si nutra di tutto questo melting pop di contenuti, significanze estetiche e formali e ci restituisca, in definitiva, un nuovo e unico universale bagaglio figurativo in cui tutto rientra senza gerarchie.
La tecnica scelta è l’olio su tela, tecnica per eccellenza, e non l’acrilico che certo avrebbe reso più semplice, ma più piatta, la stesura delle grandi campiture nello sfondo. E certo serve notevole maestria per riprodurre in modo piatto e liscio, come fosse un acrilico a spray, la pittura materica di Van Gogh o per saper rendere l’effetto dripping di Pollock senza il dripping.
Dice, Debora Hirsch, che fare l’artista significhi portare alla luce e rivelare cose e dettagli nascosti, togliere il velo all’assuefazione che copre e opacizza la nostra percezione del mondo e davvero, trovare in dodici microcriminali di oggi un richiamo agli apostoli, cucire un file rouge fra Van Gogh e Corto Maltese o svelarci in una foto una piazza di Bahia come la potremmo vedere solo standovi seduti per ore, vuol dire esserci riusciti.
Annachiara Cavallone