Sembra un luogo di riposo dove il tempo è fermo, l’atmosfera è sospesa e la vita tace, dove è possibile trovare un momento di pace per riflettere sul nostro percorso, la memoria, la bellezza effimera e l’inevitabilità del destino umano. In realtà, proprio grazie alle testimonianze di eterna bellezza scolpita nella pietra, destinata a durare oltre la vita terrena, è inevitabile sentire una certa inquietudine, nella consapevolezza che anche la pietra sarà lentamente erosa dal tempo: numerosi interrogativi affiorano alla mente, guidati dalla visione di tante giovinezze perdute, vite stroncate, destini interrotti.
Il fotografo con occhio attento si muove con delicatezza tra le ombre, cercando di catturare il segreto di tanta pace nonostante tutto parli di morte.
Circondati da monumenti funebri che custodiscono l’eco di vite passate, amori, speranze e dolori, eco di giovinezze spezzate e sogni svaniti, è inevitabile pensare alla fine dell’avventura umana, nostra e di altri. In questo contesto, le parole dei poeti sepolcrali inglesi risuonano con una profondità particolare: come sottolinea Shelley, la vita è fragile e temporanea, colorata dalle esperienze e dalle emozioni, ma inevitabilmente destinata a frantumarsi sotto il peso della morte, avendo come meta, inesorabilmente, l'eternità immutabile.
Le figure di marmo e pietra, protagoniste della ricerca di Daniele Cagnasso, che siano angeli dalle ali spiegate o donne nel fiore degli anni, incarnano una riflessione profonda sulla fugacità della vita e lo scorrere inesorabile del tempo: in questo contesto, osservando impassibili l’avvicendarsi delle stagioni e il passaggio delle generazioni, diventano simboli di un ciclo eterno, dove la bellezza e la giovinezza sono congelate in una dimensione senza tempo.
Avvolte in un’aura di ieraticità che richiama l’estetica gotica, le figure slanciate con le mani giunte in preghiera e gli sguardi rivolti verso l'alto, quasi a cercare una connessione con il divino, nell’abito di pietra sembrano imprigionare il momento di una supplica eterna, testimoniando la fragilità della vita e la speranza in un aldilà consolatore. O sembrano sussurrare storie di un passato lontano: l’espressione del viso è solenne, quasi austera, come se custodisse l’antico mistero di un mondo inesplorato.
In altre sculture, invece, risplende l’influenza dei preraffaelliti, come dimostrano le figure femminili dai tratti morbidi e sognanti, immerse in un’atmosfera di malinconica e fragile bellezza della vita. Le linee morbide e i panneggi raffinati di queste sculture evocano una sensibilità romantica, dove la bellezza e la tristezza si intrecciano in una danza silenziosa.
Il fotografo coglie il momento in cui le statue risaltano con un’aura di solennità. Il gioco di luci e ombre enfatizza la loro bellezza eterna, facendo emergere i dettagli scolpiti con maestria: le pieghe delle vesti, le ali degli angeli, i lineamenti dei volti. Catturando la malinconica bellezza di sculture specchio di un tempo perduto, Cagnasso riplasma la materia e crea immagini in cui la luce gioca un ruolo fondamentale nel trasmettere emozioni e riflessioni.
La luce infatti, che indugia sulle pietre variando nel corso della giornata e delle diverse stagioni, diventa una metafora visiva del passare del tempo, accentuando l’inevitabile declino ma anche la bellezza eterna delle sculture: illuminando le statue che raccontano storie di giovinezza e bellezza, di perdita e memoria, enfatizzandone la grandiosità e l’imponenza, la luce ci ricorda che ogni gloria è destinata a svanire, ogni vita a terminare, ma c’è una bellezza eterna che rimane scolpita nella pietra e nella memoria.
Ogni fotografia è un momento di contemplazione, un invito a riflettere sulla potenza del ricordo e la nostra mortalità: le statue, destinate a durare oltre il tempo immaginato dai committenti, diventano simbolo di un tempo che scorre inesorabile, che però può essere fermato per un istante dall’arte del fotografo. Il cimitero allora, con l’instancabile alternarsi delle stagioni, è un muto testimone del ciclo perpetuo della vita e della morte. E le statue, con la loro bellezza eterna, ci invitano a riflettere sulla nostra esistenza e ci ricordano che, nonostante la nostra mortalità, esiste qualcosa di eterno e immutabile.
La mostra "Regine di pietra" ci trasporta in un mondo di delicata malinconia e struggente bellezza, dove le sculture di donna e angelo emergono dal bianco e nero con una rara potenza evocativa. Il fotografo, con un sapiente gioco di contrasti, crea un dialogo visivo tra consolazione e sconforto, portando lo spettatore a riflettere sul dualismo della condizione umana.
Innocenza e sensualità, severità e tenerezza, rassegnazione e disperazione si alternano con un ritmo incalzante; le figure sono spesso nude, spoglie da rassicuranti difese, sorge spontaneo chiedersi come possano essere strumento di consolazione, quando la morte resta uno ‘scandalo’ agli occhi dell’uomo.
Il fotografo si muove con disinvoltura e confidenza tra i sepolcri, quasi avesse saputo costruire un dialogo in tutti gli anni trascorsi a cercare il momento perfetto. Scolpendo le forme con chiaroscuri intensi che sottolineano la posa teatrale, con alternanza di bellezza e sofferenza, sacro e profano, opera scelte in grado di enfatizzare la forza espressiva di queste sovrane del Tempo: lo dimostrano le decisioni relative all’inquadratura, l’uso sapiente della luce e del contrasto, che crea un’evocazione drammatica, la distanza tra l’obiettivo e la statua – l’azione della lente a volte è una carezza, a volte un’indagine, a volte il disvelamento di un segreto – , il taglio operato all’immagine, alla ricerca di un equilibrio, una compostezza anche dove sembra che la pietra urli la disperazione e denunci il Nulla Eterno: ma sempre è uno sguardo complice e gentile, anche quando opera delle ‘amputazioni’ per ragioni estetiche, che amplificano il senso di frammentazione e perdita.
La scelta del bianco e nero sottolinea il contrasto tra il ciclo vitale della natura e l’immobilità della morte: le stagioni tornano ciclicamente, come dimostra la vegetazione avvolta attorno ad alcune statue che ricordano che la natura rifiorirà, per addolcire la pietra, ma per le sculture non c’è metamorfosi, perché sono eterne testimoni di un ciclo vitale interrotto: esse restano immobili, spettatrici silenziose di una eternità senza primavera, senza rinascita, perché dopo la morte c’è solo un perpetuo presente.
Ogni immagine è un frammento di un discorso più ampio, che esplora le profondità dell'animo umano attraverso l'arte della fotografia. L’autore, proponendo una sorta di itinerario dello spirito, invita lo spettatore non solo a contemplare la bellezza austera di queste figure poste a baluardo dell’oblio, ma anche a riflettere sulla natura eterna della memoria e sulle cicatrici lasciate dal tempo.
Le opere in mostra, narrando di un mondo sospeso tra bellezza e malinconia, offrono una profonda riflessione esistenziale: ogni fotografia è una finestra su un mondo di silenzio e meditazione, dove il tempo sembra essersi fermato e la luce scolpisce le emozioni con delicatezza e precisione. Il percorso espositivo diventa così un dialogo intimo con l’eternità, una contemplazione delle cicatrici del passato e una riflessione sulla natura eterna della memoria.
Isabella Colonna Preti
Presentiamo i testi critici di tre studenti liceali che hanno scelto di frequentare la Galleria duetart di Varese nelle prime due settimane di giugno, per vivere l’esperienza di alternanza scuola-lavoro.
Il chiaroscuro della vita e della morte
Daniele Cagnasso sceglie per questa collezione di fotografie in bianco e nero una serie di opere create da provetti scultori tra i primi dell’Ottocento e la metà del secolo seguente. L’artista in questo caso utilizza la tecnica del chiaroscuro, proprio
per enfatizzare la contrapposizione fra la vita e la morte, e quindi per mettere in rilievo l’importanza del tempo.
Nelle opere sono riconoscibili più tratti caratteristici e personali; il più significativo, a mio avviso, è l’utilizzo della luce, la quale dona bellezza ed espressività alle sculture, catturate dalla fotocamera solo dove l’artista ha ritenuto necessario, al fine di attirare l’attenzione in un preciso punto focale.
Tramite i mezzi della fotografia, l’artista riesce a offrire una nuova lettura a queste sculture, rendendole visibili e attuali nella società odierna.
Patrick Fontana
Un omaggio alla memoria, alla bellezza e all’eternità
“E come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno, come le rose.”
Fabrizio De André, “La canzone di Marinella”
La bellezza immortale delle statue presenti nelle opere di Daniele Cagnasso suggerisce
un messaggio ben diverso dalla fragilità delle rose del testo della canzone di De André, che dice quanto sia effimera la vita umana.
La raccolta fotografica “Regine di Pietra” è un’esplorazione visiva affascinante delle statue femminili. Attraverso il suo obiettivo, Cagnasso cattura non solo la bellezza
intrinseca delle sculture, ma anche un profondo senso di narrazione e intimità che le avvolge. Ogni fotografia infatti sembra possedere una propria vita, una propria storia, e l’artista riesce ad infondere un’anima alle fredde superfici di pietra.
Le statue, raffiguranti donne in varie pose di dolore, contemplazione e serenità, sono
illuminate da una luce che sottolinea i dettagli finemente scolpiti, come i drappeggi dei vestiti, le espressioni dei volti e i gesti delle mani. L’illuminazione crea un gioco di
luci ed ombre che dona tridimensionalità e profondità alle immagini, trasformando le figure in presenze quasi palpabili.
L’artista dimostra di possedere un’elevata maestria nell’uso della luce e nella composizione delle fotografie, che non solo esaltano le qualità estetiche delle statue, ma
evocano anche un senso di trascendenza e spiritualità.
Il titolo stesso, “Regine di Pietra”, suggerisce un’aura di regalità e solennità e Cagnasso, con la sua sensibilità artistica, riesce a far emergere questi aspetti rendendo ogni
fotografia un omaggio alla memoria e alla bellezza eterna.
“Regine di Pietra” è una raccolta fotografica che va oltre la semplice documentazione visiva: è un’opera poetica e riflessiva che, attraverso l’arte della scultura e della fotografia,
celebra temi fondamentali nella vita dell’uomo.
Pablo Ghielmetti
Sovrane del silenzio e del tempo
“Regine di Pietra” di Cagnasso esplora la bellezza artistica e la riflessione sulla mortalità attraverso le sculture in pietra. Le fotografie catturano l’essenza di un luogo dove il tempo sembra sospeso e l’eternità delle opere d’arte si confronta con la fragilità della
vita umana.
Cagnasso sceglie di concentrarsi su queste sculture, vedendole come “regine” che
regnano su un mondo di silenzio e riflessione. La pietra, simbolo di immortalità, contrasta con la brevità della vita umana, offrendo una riflessione profonda sul tempo.
Ogni scultura è un simbolo di memoria e continuità, dove il passato e il presente si
fondono, evocando nostalgia e riflessione sull’inevitabile scorrere del tempo.
Il titolo “Regine di Pietra” evidenzia la maestosità delle sculture, che non sono solo
opere d’arte ma vere e proprie sovrane di un regno eterno, immutabili e splendenti
nella loro bellezza e durezza. Le sculture di Cagnasso ricordano il carme “I Sepolcri” di
Ugo Foscolo, dove i sepolcri sono luoghi che perpetuano la memoria degli scomparsi:
come i monumenti e le tombe che Foscolo esalta attraverso i suoi versi, così le fotografie
mantengono viva la memoria delle sculture e delle storie che rappresentano.
Camminare tra queste maestose figure invita a meditare sulla vita e la morte.
Le “Regine di Pietra” non sono solo un omaggio alla bellezza artistica, ma anche una
riflessione sulla mortalità umana.
Giacomo Volonté